Il recente appello dell’ex Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan circa i pericoli del traffico di cocaina per le instabili nazioni dell’Africa occidentale ci ricorda un paradosso fondamentale della nostra epoca: il continente più povero è anche il continente strategicamente più importante per il più lucroso commercio mondiale, quello di droga. Un commercio che, giova sempre ricordarlo, in epoca di crisi globale gode di ottima salute, diventando talvolta addirittura linfa vitale e al contempo velenosissima di interi sistemi economici.

 

 

Se Annan, peraltro pesantemente criticato nei commenti di fondo per la scarsa efficacia del suo trascorso operato politico, focalizza la sua attenzione sulle nefaste conseguenze del drug trafficking in termini di peggioramento della governance e dello stato di diritto (semmai in questi paesi ve ne fossero accenni), io vorrei piuttosto puntare l’attenzione sull’emergere di questa nuova rotta del narcotraffico globale.

Certo, perché sul fatto che questa rotta sia “nuova” non vi sono dubbi. I dati parlano molto chiaramente: 758 kg di cocaina sequestrati nel continente nel 1998, 1.104 kg nel 2003, 2.523 kg nel 2005, 5.691 kg nel 2007, secondo quanto emergeva da un rapporto delle Nazioni Unite proprio del 2007. Secondo la Banca Mondiale invece nello scorso anno il giro d’affari legato alla sola cocaina nell’Africa occidentale raggiungeva i 6,8 miliardi di dollari.

Senegal, Gambia, Guinea, Mali, Mauritania e Guinea-Bissau sono oggi i principali hub di una rotta che ha ancora una volta il suo inizio in America Latina ed il suo capolinea in Europa. In particolare l’ultimo paese citato, la Guinea-Bissau, assume un ruolo di grande rilevanza dal momento che in virtù del suo passato coloniale ai suoi cittadini è concesso di entrare in territorio portoghese senza visto.

È tuttavia la Spagna il principale porto d’ingresso al mercato europeo, seguita a ruota dall’Olanda. Le autorità di entrambi i paesi stanno ponendo sempre maggiore attenzione alla rotta africana: sforzo sicuramente lodevole, ma anche abbastanza inutile a livello complessivo se non accompagnato da un mutamento di paradigma in termini di strategie politiche. Insomma, appare evidente come una semplice “militarizzazione” del tema non faccia altro che determinare uno spostamento/adattamento delle rotte, piuttosto che una definitiva estinzione delle stesse.

D’altra parte è stato proprio così che è emersa la via africana alla cocaina. Il contrasto armato alla rotta caraibica aveva portato i trafficanti a concentrare l’attenzione sul comodo appoggio logistico dell’Africa occidentale, dove ad attenderli c’era un humus politico splendidamente corrotto ed una società in sofferenza pronta a diventare consumatrice (un terzo della cocaina proveniente dall’America Latina viene consumato in loco) e spacciatrice di nuove sostanze.

Successe la stessa cosa nella rotta americana nord-sud: la militarizzazione della questione in Bolivia e Perù favorì l’emergere della Colombia, mentre la militarizzazione in Colombia permise a sua volta l’ascesa dei drug lord messicani. Il limite di appelli come quello di Kofi Annan è proprio questo, cioè quello di fondarsi su vecchi paradigmi basati su concetti tutt’altro che assodati e univoci come quelli di democrazia e rule of law. Provate a chiedere a un contadino della Guinea-Bissau cosa ne pensa della good governance …

di Francesco Rossi – Operatore Comunità Ceis di Reggio Emilia